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Dislessia, Dislessico, cosa fare? E se fossero parole abusate?

Capiamo cos'è, o meglio COSA NON è! Questo articolo è lungo. All'inizio ti fornirò una estrema sintesi , e ti invito a non ...

Capiamo cos'è, o meglio COSA NON è!

Questo articolo è lungo. All'inizio ti fornirò una estrema sintesi, e ti invito a non fermarti là perché ogni estrema sintesi CANCELLA inevitabilmente informazioni utili e/o importanti. Ci tengo inoltre a ricordare che "l'ignoranza non fa sconti", o come usava dire Derek Bok rettore di Harvard: "Se credete che l'istruzione sia costosa, provate l'ignoranza." E No, in questo articolo non ti vendo nulla, il costo a cui mi riferisco è il tuo tempo per leggerlo.

SINTESI.

1. Evita assolutamente di chiamare o far chiamare tuo figlio o figlia Dislessico o Dislessica, perché può creare l'errata convinzione di ESSERE "sbagliati" e perché il vero "Dislessico" è chi chiama dislessico qualcun altro/a e ti spiegherò il perché.

2. Evita di credere che tuo figlio/a debba apprendere come hai fatto tu, non siamo tutti uguali (questo lo spiego meglio più sotto).

3. Fai apprendere tecniche di lettura veloce, o di audio video lettura veloce (assistita) che aiutano a migliorare in modo estremo anche la comprensione. E non mi interessa che tu scelga i miei corsi. Basta che eviti di credere che tuo figlio/a abbia una incapacità mentre è solo un problema di modalità di insegnamento.

4. Fai apprendere tecniche di Memorizzazione divertenti (non noiose) a tuo figlio/a.

5. Se aiuterai tuo figlio/a nell'apprendere e padroneggiare i punti 3 e 4 qualsiasi insegnante ignorante di queste tecniche risulterà, nel confronto, gravemente "DISLESSICO".

"Dislessico" perché è una parola completamente sbagliata.

Cosa dice il dizionario (e perché scritto così è pericoloso!)

Vediamo innanzitutto COSA dice Garzanti linguistica, quale significato PROPONE per Dislessia:

(med., psicol.) incapacità di riconoscere o ricordare le parole scritte che si manifesta, nella lettura, con trasposizioni e inversioni di parole o di sillabe;
è originata da malattia nervosa o da lesione cerebrale.

La prima parte e sbagliata, vedremo perchée la seconda parte della definizione è profondamente scorretta, è una trappola mentale e linguistica, perché la realtà delle cose è che le diagnosi di problemi di dislessia legati a malattie nervose o lesioni cerebrali erano statisticamente lo 0,5% sul totale di quelle analizzate.

Personalmente ritengo che oggi siano molte meno, probabilmente lo 0,0001%. Perché? Perché da quando alcuni insegnanti hanno MALDESTRAMENTE preso in prestito il termine della psicologia clinica, attribuendo la qualità di dislessico ad un alunno al quale LORO non hanno saputo correggere normali, ricorrenti, oserei dire tradizionali errori di apprendimento, hanno fatto diventare "DI MODA", e popolare, il termine Dislessico, contribuendo all'aumento dell'apprensione dei relativi genitori.

E notiamolo per bene, perché costoro hanno con una cecità imbarazzante, INVERTITO completamente il problema! Cioè è l'alunno ad "essere dislessico" (DIS=separato, LESSICO=dalla parola, pertanto fallato, incapace) e non l'insegnante ad essere "DIS-insegnante" (separato dalla capacità di insegnare).

Errori che fanno NATURALMENTE parte di QUALSIASI percorso di apprendimento. Certo esistono alunni che generano in determinati momenti del loro apprendimento meno problemi, ed altri di più, ma questo dipende da molti fattori che andremo ad analizzare.


Vediamo il significato originale (etimologico) di Dislessico.

1. Scomposizione

dis-less-ico
dis- → prefisso di origine greca ed esprime un valore negativo o di difficoltà;
less- → dal greco "lexikon": che riguarda la parola;
-ico → suffisso formativo di aggettivi, significa "relativo a, che riguarda".

Dyslexia in origine significava difficoltà nel parlare o nell’uso delle parole.

Dislessia — significato moderno

Definizione generale:

La dislessia è un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) che riguarda la lettura.

Non dipende da deficit di intelligenza, problemi sensoriali o mancanza di istruzione, ma da un diverso modo di elaborare il linguaggio scritto da parte del cervello.

In termini più precisi:

  • la persona dislessica legge lentamente o in modo impreciso;
  • può confondere lettere o sillabe simili;
  • tende a faticare nella decodifica dei segni grafici (riconoscimento automatico delle parole scritte);
  • e spesso compensa con intelligenza visiva, memoria e strategie alternative.

Origine del concetto moderno:

Il termine, nato in ambito medico tra fine Ottocento e inizio Novecento, si è progressivamente spostato dal campo neurologico a quello educativo e psicologico.

Oggi, in Italia, la dislessia è riconosciuta dalla legge 170/2010 come “disturbo specifico dell’apprendimento”.

Vedremo perché sono in TOTALE DISACCORDO con questa definizione. L'unica cosa che salverei è la parola DIVERSO che ho sottolineato apposta.

OraSE ribaltiamo l’asse semantico del termine dislessico, riportandolo alla sua etimologia originaria:

dis- = difficoltà
-lessico = linguaggio, parola
ALLORA, dis-lessico significherebbe letteralmente “colui che ha difficoltà con il linguaggio”.

Da esperto della comunicazione DATO CHE il linguaggio è uno strumento condiviso di comunicazione, chi ha davvero difficoltà — non è chi (in fase di apprendimento) non riesce ad adattarsi al linguaggio ricevuto, ma chi (in teoria professionista dell'insegnamento) non sa adattare il proprio linguaggio a chi lo deve comprendere. Perché un assioma fondamentale della comunicazione è che la responsabilità della comunicazione parte dall'emittente del messaggio nel rendere quanto più comprensibile al ricevente l'informazione. Se il ricevente non capisce o non ha ancora gli strumenti per capire in modo efficace la responsabilità è dell'emittente non del ricevente.

Ma il problema più grave nell'usare la frase "suo figlio/a è dislessico/a" o dire "sei dislessico" è legato alla scorrettezza di usare il verbo essere. Perché? 

Perché il verbo ESSERE intacca l'identità.

Notiamolo non è molto diverso dire "mio figlio È dislessico" o dire "mio figlio È stupido". In entrambi i casi l'errore più grave è l'uso del verbo ESSERE che intacca l'identità, l'essere, l'io sono.

Se ripetuto, da opinione diventa credenza limitante o peggio convinzione limitante.

In teoria non sarebbe un problema dire "mio figlio HA un problema relativo all'apprendimento" (senza inventarsi la parola Dislessia), come non è un problema riprendere il proprio figlio dicendogli "non ti comportare in modo stupido".

La differenza è enorme:

  • ESSERE dislessico → attacca l'identità, può creare una credenza limitante errata (sono fallato),
  • AVERE una difficoltà → descrive uno stato temporaneo, risolvibile.
Ma ancora meglio è usare il verbo FARE perché centra perfettamente l'errore che sta nell'azione inefficace (non ancora efficace, quindi da educare) e non nel AVERE qualcosa che non va.

Immaginate di dire a vostro figlio: "Sei dislessico". Cosa succede nella sua testa? Si convince di ESSERE rotto, AVERE un male, invece di capire che sta FACENDO qualcosa che è meglio migliorare e quindi sapere che ha solo bisogno di un metodo per migliorarsi.

Cosa dicevano 3 grandi padri del sapere umano.

Platone (più di 2400 anni fa, uno dei padri della filosofia):

"Studiate le Parole a partire dalle Cose, non le cose partendo dalle Parole".


Korzybski, il fondatore della semantica generale:

"Il nome non è la cosa; la mappa non è il territorio".
Commettiamo l'errore di credere che, se c'è un nome, allora la cosa così nominata debba anch'essa esistere. Il che è responsabile, secondo me, di questa moltitudine di punti di vista sulla natura dell'essere umano, tra loro diversi e in gran parte contraddittori. Ritengo che dovremmo abbandonare questa abitudine.


Watzlawick: (uno dei padri della terapia breve strategica della psicologia moderna e della Pragmatica della Comunicazione Umana) relativamente a quanto detto da Korzybski spiega nel suo libro "Guardarsi dentro rende ciechi" che ha ritenuto utile abbandonare i termini diagnostici delle malattie mentali e continua scrivendo:

[...] Non dovremmo dire: costui è schizofrenico. Dovremmo dire: questa è una persona che soffre, vediamo come possiamo alleviarne la sofferenza.

Nota di Luca relativa alla Dislessia: Non dovremmo dire questa persona è dislessica. Dovremmo dire:
"Comprendo che a causa di COME ho spiegato ciò che volevo fare apprendere NON sono riuscito a farmi comprendere in modo efficace da quella determinata persona/alunno/a".

Il COME cambia tutto! Compreso questo dovremmo continuare dicendo:
"Vediamo come posso spiegare in modo efficace per quella specifica persona/alunno/a".

Altrimenti, rimaniamo davvero intrappolati nell'idea (fallace), che conduce infine all'ipotesi (errata), che ci sia una realtà vera là fuori (quella che noi crediamo vera) che è accessibile alle nostre menti, che di fatto la definizione di normalità sia essere consapevoli di vedere la realtà come veramente è (ci illudiamo che ciò che crediamo erroneamente reale sia la definizione di normale), che il concetto di adattamento alla realtà sia la misura della sanità o della malattia (o incapacità) mentale.
I filosofi e i fisici teorici hanno totalmente abbandonato l'idea di una realtà vera esistente là fuori. Ritengono che dovremmo a poco a poco seguirli.
Paul Watzlawick (i comenti tra paretesi sono miei).

I due danni che fa chi chiama gli altri "dislessici".

Perché vedete, quando qualcuno afferma "questo alunno è dislessico" sta creando 2 gravi problemi (danni) a mio avviso.

PRIMO danno: proietta l'idea di malattia.

Proietta l'idea nella testa dell'alunno e dei suoi genitori, dell'insorgenza di una malattia, di una deficienza, attraverso un termine che nel 99,9999% dei casi NON ESISTE, ma è piuttosto una mancanza di strategie adeguate di insegnamento.

Perché l'insegnamento non è elencare nozioni e basta: una parte FONDAMENTALE dell'insegnamento è correggere gli errori di apprendimento che possono essere determinati anche semplicemente dalla distrazione, o dalla noia se l'insegnante non sa come ottenere una attenzione interessata e curiosa.

SECONDO danno: crea una credenza limitante sull'identità.

Attribuendo con il verbo "essere" (è dislessico, sei dislessico) sta inducendo potenzialmente una credenza limitante all'alunno ed ai genitori, una credenza negativa che li può intrappolare in essa, perché il verbo essere tende ad attaccarsi all'identità di una persona, se quella qualità viene creduta vera.

In ogni caso è responsabilità (che significa rispondere-in-modo-abile) dell'insegnante correggere gli errori, perché il proprio metodo di insegnamento non è infallibile.

L'insegnante se vuole ritenersi un professionista della parola (lessico) deve avere tutta una serie di soluzioni che si possano adattare alle diverse tipologie di errori di apprendimento che possono comparire durante l'insegnamento.

Non esiste "il metodo giusto" – la lezione di Malcolm Gladwell.

Universali vs Variabilità.

Come ci ha molto ben spiegato Malcolm Gladwell (autore di Blink) su Ted.com, la scienza 50 o 60 anni fa andava in cerca degli Universali in molte materie come fisica, biologia, medicina, psicologia, e altre ancora (come "scienze dell'Educazione").

Poi 15 anni fa si sono accorti che è più utile, conveniente, efficace e interessante per comprendere l'universo dentro e fuori di noi, cercare di capire e studiare le Variabilità.

Perché credere negli Universali è un Regresso Culturale.

L'esempio che porta Malcolm Gladwell è relativo all'industria alimentare: intrisi dell'idea dell'esistenza ILLUSORIA ed errata degli Universali, andavano alla ricerca del gusto perfetto, cosa ovviamente INESISTENTE!

Cercare il gusto perfetto o avere un unico metodo di insegnamento è esempio di regresso: come ho spiegato in altri articoli, non esiste solo il progresso scientifico e/o culturale, la storia è piena di esempi di regresso (i più evidenti sono quelli economici).

Per quanto riguarda la ricerca del gusto perfetto già i latini migliaia di anni fa dicevano proverbialmente "de gustibus non disputandum est" (tradotto più o meno: dei gusti non ci può essere disputa). Eppure migliaia di anni dopo industriali poco eruditi o malamente istruiti, con fallace saccenza, hanno speso montagne di soldi ed energie per cercare il gusto perfetto di singoli prodotti.

Notatelo: chi usa un unico metodo di insegnamento commette lo stesso errore. Perché se una cosa non può essere unica ALLORA deve essere VARIA.

Malcolm Gladwell nel video su Ted.com spiega un tipico esempio di VARIABILITÀ: i gusti delle persone NON sono universali, pertanto NON possono essere messi statisticamente in un grafico su una verticale, ma sono orizzontali, cioè VARI.

Apparentemente banale vero? Eppure per il marketing alimentare anni fa fu una scoperta da MILIARDI di Dollari, ovvero la nascita della segmentazione dei prodotti, cioè si sono accorti che le persone sono diverse, ed hanno gusti diversi, divisibili in piccoli e grandi gruppi.

Forse presto si accorgeranno nell'insegnamento che anche gli alunni sono diversi?!

Possiamo chiamare noi stessi in molti modi, target, clienti, prospect, alunni, gruppo dei pari, o gruppo DIS-qualchecosa, ma siamo sempre NOI e siamo VARI, e pertanto anche nell'insegnamento gli universali semplicemente NON ESISTONO!

Stimolare tutti i canali, non solo il dominante.

Nota importante sull'apprendimento: non si tratta tanto di insegnare al bambino visivo in un modo e all'auditivo in un altro, quanto di stimolare tutti e 3 i canali percettivi (visivo, auditivo, cinestesico).

Il canale predominante velocizzerà l'apprendimento, ma se non stimoliamo anche gli altri, rischiamo di atrofizzarli. È come allenare solo un braccio: funziona, ma crea squilibri.

Esempio pratico: Un bambino visivo impara le tabelline guardando schemi colorati. Un bambino auditivo le impara canticchiandole. Un bambino cinestesico le costruisce con le mani. Tutti e tre imparano, ma con strategie diverse. La scuola ne usa una sola: quella visiva.

Pertanto tornando alla questione "essere Dislessico", che insegnamento traiamo dai filosofi, fisici, dagli psicologi come Watzlawick o i formatori come Anthony Robbins e i padri della PNL come Richard Bandler e John Grinder: che nel momento in cui noi creiamo una parola, come Dislessico ad esempio, stiamo creando una realtà che non esiste. Soprattutto nel momento in cui questa definizione viene attribuita ad una qualità umana. E la pericolosità di questo è che può generare per reazione, una serie di eventi e considerazioni false e forvianti.

Perché un conto è definire come Dislessia un danno oggettivo, cerebrale "organico", riscontrabile con un metodo di ricerca e di diagnosi precisi.

Un'altra cosa (grave a mio avviso) è attribuire una Diagnosi come "È Dislessico" partendo da dei sintomi descritti come: "incapacità di riconoscere o ricordare le parole scritte che si manifesta, nella lettura, con trasposizioni e inversioni di parole o di sillabe".

Ma a chi definisce questo per Dislessia, non sembra venirgli il dubbio che il problema sia relativo alle:

  • tecniche d'insegnamento (che in genere NON sono Variegate);
  • alla strategia di percezione usata dall'allievo (che possono essere VARIE, pertanto diverse).

Solo che nel marketing quando ti vogliono vendere qualcosa, la tua VARIABILITÀ viene definita NICCHIA POTENZIALE NELLA QUALE FARE PROFITTI, nella quale fornire qualcosa di utile e piacevole a qualcuno che non riceve un'offerta adeguata.

Mentre nella SCUOLA vengono usate (fate attenzione) altre parole, non sei una NICCHIA, non fai parte del gruppo dei PARI allora fai parte del gruppo dei DIS-pari, dei DIS-in-qualche-altro-modo-abili, quindi DIS-lessici.

Trasponendo la responsabilità all'alunno di NON essere adeguato agli universali di insegnamento. Questa a casa mia si chiama ipocrisia, irresponsabilità, e pigrizia culturale.

Perché in questo caso la diversità non viene vista come un qualcosa di vantaggioso, potenziale, ma come qualcosa di oneroso, costoso. L'insegnante non viene pagato di più se scopre una nicchia, per lui avere più strategie di insegnamento in base alla tipologia di persona è un costo personale culturale.

E se lo è per l'insegnante lo è per la scuola. La scuola non ha profitti sul rendimento. Per i diversi servono insegnanti di sostegno (perché l'insegnante non è in grado di sostenere la diversità) e questo può erroneamente essere visto come un costo per la collettività.

Notate l'uso DIVERSO delle parole su un contesto universalmente uguale cioè la VARIABILITÀ.

Come funziona davvero il cervello – visivo, auditivo, cinestesico (VAC).

Einstein: l'esempio perfetto di "bambino diverso" etichettato male.

Ci sono alcuni esempi eclatanti, il più emblematico è quello di Albert Einstein: a 3 anni non parlava, a 4 fu dichiarato ritardato mentale, incapace di apprendere. Invece era un bambino dotato di una introspezione e curiosità fuori dal comune. Appunto non essendo comune non era ai più, e all'epoca, facilmente riconoscibile.

Ma non è finita con Albert: anche da adulto, dopo la laurea, fece richiesta di poter proseguire con un dottorato, quindi di lavorare all'interno dell'università come ricercatore scientifico: gli fu risposto che non aveva le capacità per farlo.

Il Metodo della PNL: Sistemi Rappresentazionali (V.A.C.).

La PNL (Programmazione Neuro Linguistica) insegna che i metodi di apprendimento e pertanto di memorizzazione sono differenti in base ai 3 canali percettivi preferenziali e predominanti di un individuo denominati V.A.C.:

  1. V per Visivo
  2. A per Auditivo
  3. C per Cinestesico
(o cenestesico, che si riferisce al senso del tatto, del gusto, dell'olfatto e del movimento)

La maggioranza della popolazione apprende, quindi ricorda e pensa e comunica preferenzialmente in modo visivo, con termini visivi, con strategie di memorizzazione visive, e il resto (circa il 20% della popolazione, compreso il sottoscritto), apprende, ricorda, e comunica con termini preferenzialmente Auditivi e Cinestesici. (In marketing questi vengono chiamati cluster, in italiano gruppi).

Cosa vuol dire questo? Vuol dire tante cose:

Intanto notiamo che questa è una grande generalizzazione, perché le persone usano tutti i canali di percezione, chi più chi meno, e soprattutto i canali di percezione possono essere istruiti, potenziati.

In sintesi:

  • Visivi (80%): pensano per immagini, parlano veloce, stanno distanti
  • Auditivi (10-15%): pensano ascoltando la voce interna, parlano ritmicamente
  • Cinestesici (5-10%): pensano per sensazioni, hanno bisogno di muoversi

Tutti usiamo tutti i sensi, ma c'è sempre un canale dominante.

Approfondimenti sui canali percettivi.

Il Visivo.

Usa termini per comprendere, ricordare e descrivere la realtà che lo circonda attraverso verbi e aggettivi relativi alla vista. Pensano per immagini, molto velocemente in genere, per questo parlano a raffica, anche mangiandosi le parole, perché cercano di stare dietro alle immagini che hanno in testa, che possono vedere scorrere come un film. Di seguito vediamo come descrivono la realtà.

Verbi: vedere, immaginare, guardare, osservare, e così via.
Aggettivi: chiaro, radioso, luminoso, scuro, ombroso, eccetera.
Esempi: Ci vedo chiaro. Non sembra chiaro, è nebuloso, è oscuro. È un tipo ombroso. L'ho vista proprio raggiante... Spesso iniziano le frasi con "vedi"...

Prossemica: tendono a stare di fronte agli altri in modo frontale e distanziato per vedere bene, e avere una ampia prospettiva.

L'Auditivo.

Usa termini per comprendere, ricordare e descrivere la realtà che lo circonda attraverso verbi e aggettivi relativi il senso dell'Udito. Pensa ascoltando la voce interna, muove e gesticola ritmicamente mani e piedi, possono parlare in modo melodioso ritmato. È una falsa credenza (oltre che una fesseria) che hanno la voce calda e bassa. Il timbro della voce non c'entra nulla con il VAC.

Verbi: sentire, ascoltare, dire, parlare, suonare ...
Aggettivi: melodioso, armonico, rumoroso, stridulo, suonare bene
Esempi: Mi suona bene, Mi stona, stride

Prossemica: tendono a stare di fronte agli altri in diagonale, leggermente più vicini rispetto ai visivi, perché hanno bisogno di sentire bene, portando avanti l'orecchio dominante.

Il Cinestesico.

Usa termini per comprendere, ricordare e descrivere la realtà che lo circonda attraverso verbi e aggettivi relativi il senso del movimento, del tatto, del gusto e dell'olfatto, oltre tutte le sensazioni interne. Pensa ricordando sensazioni, e può aver bisogno di muoversi per apprendere. Possono parlare piano, lentamente, ed avere bisogno del contatto fisico per comunicare. Spesso grandi atleti sono persone con una spiccata cinestesia.

Verbi: sentire (perché è ambiguo), muovere, toccare, gustare, annusare, profumare, andare, eccetera.
Aggettivi: ruvido, morbido, pungente, soffice, caldo, freddo, veloce, lento, profumato, puzzolente, e così via.
Esempi: Mi sembra buono. Mi puzza. È stata proprio una serata gustosa...

Prossemica: tendono a essere molto vicini agli altri per comunicare, sentono il bisogno di toccare l'altra persona per avere un contatto percettivo.

Tutti e tre usano inoltre tutta una serie di termini neutri che non sono né visivi, né auditivi, né cinestesici.

Ricordo che la maggioranza usa tutti i canali percettivi, in modo più o meno educato ed erudito (istruito, dotto).

Ricordo inoltre che un canale percettivo poco istruito spesso deriva da una scarsa stimolazione.

Quindi prima di cercare cause congenite (per estrema sintesi: miopia, sordità infantile, rachitismo eccetera... comunque curabili con occhiali, apparati acustici, esposizione al sole, attività fisica sportiva e una corretta e sana alimentazione) cerchiamo cause ambientali (pessime abitudini, vita sedentaria, mancanza di stimoli adeguati al tipo di canale percettivo).

Apprendimento universale: con il tempo, tutti imparano.

Elemento fondamentale: Sia nello studio di materie scolastiche che discipline sportive è stato dimostrato che se gli allievi hanno abbastanza tempo per studiare, apprendere, allenarsi, e applicarsi, tutti raggiungono l'apprendimento della disciplina.

Non esistono "negati", esistono solo corpi e menti che necessitano di più o meno tempo, e di strategie adatte al loro funzionamento.

Ecco un problema tipico.

Come ho già ribadito più volte la maggior parte della popolazione è visiva, quindi anche istruttori, insegnanti e libri scolastici è molto probabile che descrivano la realtà, e le varie discipline scolastiche con termini visivi. Nel qual caso ci troviamo di fronte ad un bambino e/o persona fortemente auditiva o cinestesica, è bene adottare strategie di traduzione dei termini che descrivono le varie discipline. Dove per traduzione vuol dire una sistematica conversione dei termini visivi in auditivi o cinestesici.

Perché vostro figlio "non ricorda"? Il ruolo delle emozioni.

Internet ci ha insegnato moltissimo attraverso le analisi di marketing, ci ha insegnato come l'approccio di massa (universali, uniformare verso un unico metodo, prodotto) sia assolutamente antieconomico. La "Long Tail" (coda lunga in italiano) ne è la prova inconfutabile, dove l'offerta variabile frammentata produce molto più reddito dell'offerta di massa. Questo in termini di soddisfazione.

A tal riguardo c'è anche un'altra importantissima questione. Un adulto, maturo, ed economicamente indipendente, SE NON RITIENE un insegnante valido, bravo, preparato, stimolante, capace, cosa fa? Semplicemente ne cerca un altro. Perché sa o intuisce che se per qualche motivo, anche a pelle, gli sta antipatico l'insegnante, può bastare quest'empatia negativa a compromettere il suo apprendimento.

Pertanto l'apprendimento non è mai separabile dagli aspetti empatici. Perché come sanno molto bene i professionisti del marketing ogni scelta è emozionale, compresa anche la scelta di ricordare o meno degli insegnamenti.

Come insegnante professionista di metodi di memorizzazione faccio sempre notare che uno degli elementi più importanti legati alla memorizzazione è l'emozione associata a ciò che vogliamo ricordare. Perché il cervello tende a cancellare tutto ciò che è associato a sensazioni sgradevoli.

Io per primo, che mi credevo molto razionale, ho fatto fatica a credere che qualsiasi scelta compresa quella di voler memorizzare quindi imparare, poggiasse i piedi su una emozione.

Purtroppo (o per fortuna) c'è stato un caso tragico che lo ha dimostrato. Gli incidenti stradali producono una quantità enorme di feriti, nel libro di Paul Watzlawick "Il linguaggio del cambiamento" Paul racconta di un caso clinico, di una persona che a causa di un incidente stradale e relativo ematoma cerebrale, era affetta da necrosi (morte) dell'amigdala (la parte del cervello dove risiedono le emozioni). L'uomo non provava più nessuna emozione, e non era in grado di prendere nessuna scelta, nemmeno le più semplici. Grazie, purtroppo, a questo caso oggi sappiamo che senza il corretto funzionamento dell'amigdala, quindi di provare emozioni, non siamo in grado di prendere decisioni e che le emozioni stanno alla base dei processi decisionali del cervello. Ripeto, compreso il fatto di decidere o meno di ricordare degli apprendimenti.

Tornando così al caso dell'adulto economicamente indipendente a cui non piace il proprio insegnante, lui rispetto ad un bambino, può avere la soluzione di cercare un altro insegnante. Ed il nuovo insegnante se soddisferà le sue aspettative potrà essere descritto come, bravo, preparato, simpatico, magari anche severo, ma giusto, competente, e via dicendo.

E questo se facciamo attenzione, accade sempre quando la valutazione di gradevolezza (quindi empatica, che descriviamo con mi piace come insegnante e come alunno, o allievo) funziona in entrambi i sensi e non solo nel senso: insegnante verso allievo.

I bambini sanno esprimere se un adulto non gli piace, sono gli adulti che non prestano attenzione/importanza a queste informazioni.

E guarda caso i Dislessici sono sempre i bambini delle scuole elementari, i quali non hanno i requisiti d'indipendenza della scelta.

Quindi, se vostro figlio fatica a ricordare, chiedetevi: com'è il suo rapporto emotivo con l'insegnante? Con la materia? Con sé stesso mentre studia?

Quindi nella scuola il problema non è far parte del gruppo dei PARI, di quelli a cui va bene l'insegnante e il suo metodo di insegnamento unico massivo, o far parte del gruppo dei DIS-pari, cioè venire etichettati come Dislessici. Il problema è un problema di METODO!

Cosa non insegnano a scuola: imparare a imparare.

Ora non mi è possibile riassumere in un breve articolo quanto è necessario per affrontare in modo istruito, le migliori strategie, un problema di apprendimento. Perché nonostante quanto ho già scritto (che è una estrema sintesi di argomenti appresi in vari libri), non ho ancora trattato uno dei problemi fondamentali dell'apprendimento, e cioè che a scuola non vengono assolutamente insegnate né tecniche di apprendimento efficace, né tecniche e strategie di memorizzazione. Viene dato tutto erroneamente per scontato.

Invece siamo esseri complessi, ed ogni semplificazione, generalizzazione, crea cancellazioni. Questo vuol dire che qualcosa, e qualcuno viene cancellato, non preso in considerazione. E come in questo caso, quello che viene cancellato, tralasciato, non compreso (assurdamente aggiungo io) è che l'oggetto dell'apprendere non è l'appreso, ma l'apprendimento.

Che tradotto vuol dire che non è importante cosa studiamo, ma come studiamo! E tranne pochi eroi, quasi nessuno a scuola insegna la cosa più importante dell'apprendimento: cioè che è fatto di 3 fasi:

  1. imparare,
  2. imparare a imparare,
  3. imparare a meglio imparare a imparare.

Che detta così può confondere. Infatti io preferisco scriverla così:

1. "l'apprendimento"
(spontaneo, educazione, esplorazione);

2. "imparare a apprendere"
(presa di coscienza della struttura dell'apprendimento, e che veniamo modellati dall'apprendimento);

3. istruirsi (o scoprire)" come "imparare meglio" ad "apprendere"
(incrementare le capacità e velocità di apprendimento, e diventare dei maestri di modellamento e rimodellarsi a proprio piacere e necessità).

Esempio pratico: Un bambino che sa come funziona la sua memoria (livello 2) studia meglio di un bambino che si limita a ripetere a pappagallo (livello 1).

Ad esempio torniamo ad una parte della definizione di Dislessia: "incapacità di riconoscere o ricordare le parole scritte che si manifesta, nella lettura". Attenzione che è usato il termine logico "o" e non "e". Quindi anche non ricordare delle parole scritte in lettura è "Dislessia"... allora siamo tutti maledettamente dislessici? Chiaro che no! Perché praticamente nessuno ricorda la maggior parte di quello che legge non per l'invenzione di una "malattia, patologia" inventata attraverso la creazione della parola "Dislessia", ma piuttosto a causa di come funziona la memoria a breve, medio e lungo termine. E anche in base a quale canale percettivo usiamo per memorizzare.

Torniamo al senso etimologico (significato originale) di "Dis-Lessico", composto da "Lessico" (che riguarda la "parola") più il prefisso "Dis" (che dà senso opposto). Quindi opposto alla parola? Che si oppone alla parola?

Ora torniamo alle basi della PNL (Programmazione Neuro Linguistica) che ci insegna come avviene la comunicazione tra le persone. E ci insegna che è responsabilità dell'emittente (se sta insegnando, comunicando degli insegnamenti) verificare se il segnale trasmesso è stato codificato correttamente.

Che tradotto vuol dire che è responsabilità di chi insegna verificare che il metodo di insegnamento sia compreso dall'allievo, e laddove l'allievo usi strategie interne di percezione del mondo diverse dall'insegnante (emittente) è responsabilità dell'insegnante:

  • o convertire il tipo di segnale in modo che sia comprensibile all'allievo (usando verbi e aggettivi diversi dal visivo ad esempio),
  • o dare degli strumenti di codifica del segnale emesso (cioè dare un metodo all'allievo per convertire i verbi e gli aggettivi in modo da essere più facilmente, comodamente e velocemente compresi attraverso il proprio canale percettivo preferito).

Ma non è finita. Comunque per tutti, nessuno insegna strategie di memorizzazione efficace (che io sappia non è materia di ordinamento scolastico).

Eppure tecniche di memorizzazione sono state sviluppate dai Greci prima, e dai romani poi. E il motivo è macroscopico! All'epoca non avevano libri, computer, dove trascrivere e memorizzare. La stampa venne introdotta in Europa nel 1300 e la carta iniziò ad essere facilmente reperibile dopo il 1400. Pertanto tutto il sapere veniva tramandato per la maggior parte delle volte in modo orale (attraverso il racconto di storie). Quindi le persone dovevano ricordarsi, memorizzare. Cicerone, nato più di 2000 anni fa racconta di tecniche di memorizzazione che vengono insegnate ancora oggi.

Cosa fare ora: tecniche concrete per genitori.

1. Tecniche di memorizzazione.

Per memorizzare i suoi discorsi Cicerone utilizzava una tecnica associativa, che venne chiamata tecnica dei loci (luoghi) o tecnica delle stanze (palazzo della Memoria). Egli scomponeva il discorso in parole chiave e parole concetto che gli permettessero di parlare dell'argomento desiderato e associava queste parole, nell'ordine desiderato, alle stanze di una casa o di un palazzo che conosceva bene, in modo creativo e insolito. Durante l'orazione egli immaginava di percorrere le stanze di quel palazzo o di quella casa, e questo faceva sì che le parole concetto del suo discorso gli venissero in mente nella sequenza desiderata. È da questo metodo di memorizzazione che derivano le locuzioni italiane "in primo luogo", "in secondo luogo" e così via. (Fonte wikipedia)

In questo articolo non voglio pubblicizzare il mio corso, potete prendere il libro di Gianni Golfera: "Più Memoria", perché insegna un metodo che coinvolge tutti i canali percettivi, aumentando quindi le neuro-associazioni.

Un altro metodo di memorizzazione strategica efficace è quella delle mappe mentali.

Come fare? Sicuramente avere conoscenza e padronanza delle tecniche di memorizzazione può aiutare moltissimo, e in tal senso posso suggerire la lettura di questi libri:

Oltre le tecniche di memoria consiglio vivamente l'approccio della PNL grazie alla quale ho scoprire di essere fortemente auditivo e che l'apprendimento auditivo naturalmente ottiene il doppio di memorizzazione di quanto appreso rispetto alla lettura visiva. Queste informazioni mi hanno letteralmente cambiato la vita. Partendo da questi elementi ho sviluppato il mio personale metodo di apprendimento che mi ha portato dall'essere praticamente un NON lettore, leggevo a fatica 1 o 2 libri all'anno, a leggere velocemente una miriade di testi.


Con le tecniche di audiovideo lettura veloce di Luca Pilolli formazione.divento.it ho letto più libri negli ultimi 3 mesi che nei 3 anni precedenti.

Andrea Cossovel
Art Director e curatore del primo blog italiano sull'ottimizzazione delle conversioni, Conversion-rate.it


2. Stimolare TUTTI i canali percettivi (non solo il dominante).

Per tutti, (intendo proprio tutti noi) inoltre è importante, per stimolare e incrementare le proprie capacità percettive, quindi mentali, frequentare corsi che incrementano ed educano i 3 canali percettivi.

Per istruire la vista, e le proprie capacità visive: frequentare corsi di disegno, di pittura, di grafica (e simili).
Per istruire l'udito e le proprie capacità d'ascolto: frequentare corsi di musica, di strumento, di ascolto di vari generi, corsi di lingue (e simili)
Per istruire la cinestesia e le proprie capacità motorie, tattili, d'olfatto e di gusto: praticare degli sport di gruppo, di squadra o di ballo, corsi di cucina (il cibo è cultura!), corsi d'arte manuale, di poesia, corsi di fai da te (e simili in base alle inclinazioni interessi e desideri).

Attenzione: oltre ad usare il senso dominante è altrettanto importante stimolare (potenziare) gli altri sensi, altrimenti rischiamo di indirizzare i ragazzi nel potenziare il muscolo del senso dominante e depotenziare, atrofizzare gli altri.

3. Evitare il verbo "essere" quando si parla di difficoltà.

Non dire "sei dislessico", di' "stai facendo fatica con questo metodo, proviamo un altro modo".

Se vuoi approfondire, nel menu del sito trovi altri articoli su lettura veloce e memorizzazione. Ma anche solo applicare questi principi può cambiare tutto.

Il vero "dislessico" è chi chiama gli altri "dislessici".

Qualsiasi alunno, studente che utilizzasse le tecniche e strategie lettura veloce e di memorizzazione efficace, renderebbe a confronto chi non le usa dei DISLESSICI CRONICI.

Termino qui citando 2 affermazioni del "Dislessico" Albert Einstein (ovviamente uso il termine dislessia con ironia):

Tutto deve essere semplificato per quanto possibile, ma non reso ancora più semplice.

(Questo per stimolarvi ad affrontare il problema "dislessia", cioè di apprendimento, attraverso una buona istruzione).

Mai memorizzare quello che puoi comodamente trovare in un libro.

Aggiungo io: impara piuttosto dove cercarlo, come leggerlo velocemente, e come ricordarlo quando serve. Così è ancora più efficace.

Impariamo tecniche e strategie di studio e apprendimento veloce ed efficace, e tecniche di memorizzazione (per sapere come ritrovarlo quel libro, quell'informazione che ci serve, in quale paragrafo, in quale area del libro usando l'indice come mappa mentale, diretta o inversa. Ti ho incuriosito?).

Approfondimenti



Luca Pilolli
 FormAzione.Divento.it


Parole chiave: apprendere come imparare meglio a imparare, Imparare, imparare a imparare, In evidenza, Memoria, Muscoli Mentali, percezione, PNL, Strategie, Strategie d'apprendimento

08/11/2025 data quinta revisione.
19/03/2023 data quarta revisione.
09/11/2022 data terza revisione.
29/12/2021 data seconda revisione.
01/02/2012 Prima pubblicazione

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