Molti anni fa sentii una frase che mi rimase impressa: “Non è forte l’uomo che pensa di controllare se stesso e migliorare attraverso ...

Molti anni fa sentii una frase che mi rimase impressa:
“Non è forte l’uomo che pensa di controllare se stesso e migliorare attraverso i propri pensieri, ma è forte l’uomo che con le proprie azioni controlla e migliora il proprio pensiero.”
Stavo cercando di creare un diagramma che mi aiutasse a comprendere il flusso
di realizzazione dei desideri e degli obiettivi. Individuai due possibili
strade per realizzare i propri desideri facendoli diventare degli obiettivi.
La prima strada prevedeva trovare dei modelli "esterni" di
successo già creati da altri, testati e di comprovata efficacia.
Nella
seconda strada invece dovevo creare il modello da zero costruirmi da solo il
percorso: immaginare i passi, testarli, correggerli. Notai che mantenere la
concentrazione sull'obiettivo è ciò che descriviamo come autodisciplina.
Anthony
Robbins, nei suoi libri sul miglioramento personale, insegna che ovviamente è
più veloce ed efficace: trovare un modello esterno - qualcuno che abbia già
ottenuto il risultato che desideriamo - studiarne le connessioni
neuro-associative e copiarle o migliorarle.
Guardando quel diagramma, mi accorsi dell’ovvio: il modello esterno non era altro che ciò che chiamiamo educazione. È rappresentato da insegnanti, maestri, allenatori, coach, mentori, tutor, genitori. Tutte figure che, attraverso stimoli esterni, ci insegnano a migliorare.
Fu in quel momento che ebbi una piccola rivelazione. Mi resi conto di qualcosa che avevo sempre avuto davanti agli occhi: ciò che ha vinto nel tempo, dal punto di vista evolutivo, è la trasmissione di informazioni da una generazione all’altra.Da fuori verso dentro. Da azioni esterne che modificano e migliorano il funzionamento della nostra mente.
Ricordi la frase iniziale?
“Non è forte l’uomo che pensa di controllare se stesso e migliorare attraverso i propri pensieri, ma è forte l’uomo che con le proprie azioni controlla e migliora il proprio pensiero.”
Sono le azioni esterne che modellano il pensiero, e quindi educano, modificano, migliorano le successive azioni. E chiamiamo questo processo educazione.
Abbiamo dato così tanto valore a questo processo da renderlo continuo, per decenni, tra genitori e figli, tra insegnanti e studenti. Siamo organizzati così, e questo metodo funziona meglio di qualsiasi altro che l’umanità abbia provato.
Questo significa che, se vogliamo migliorare noi stessi, non possiamo partire
dall’autodisciplina. L’autodisciplina è la sintesi finale di un processo
educativo: è il risultato di anni di stimoli esterni che, a poco a poco,
modellano la nostra mente e poi il nostro comportamento.
Illudersi di partire da un comportamento forte, quando questo non è ancora
stato educato, allenato e disciplinato, non porta risultati duraturi,
efficaci.
Oggi questo processo: "desidero imparare, trasformo il desiderio in un
obiettivo, dedico attenzione e tempo per comprendere, memorizzare e
trasformare le nuove informazioni in abilità", ha una colonna portante
costantemente sotto attacco.
L'attenzione prolungata detta concentrazione viene erosa e resa
sempre più debole dall'uso del cellulare.
E se notate bene il processo subdolo con il quale ci cattura l'attenzione è
simile a quello educativo.
Se osserviamo bene, il modo con cui
cattura la nostra attenzione è subdolo, perché imita il meccanismo
educativo: nel senso che anche gli stimoli del cellulare, come quelli
dell’educazione, sono esterni.
Gli stimoli distrattivi del cellulare vengono da fuori e NON possiamo usare
l'autodisciplina per vincerli, perché come abbiamo compreso l'autodisciplina è
l'ultimo apprendimento, la sintesi finale di un processo educativo. Quindi
come fare?
Baricco diceva che, quando i pensieri sono ancora deboli, abbiamo bisogno di molte parole per esprimerli. Io aggiungo che, masticandoli più volte, impariamo a sintetizzarli. Anche la sintesi è l'ultimo apprendimento, l’ultimo passo del processo.
Usiamo il Cellulare contro il Cellulare.
Detto ciò propongo di usare il cellulare contro il cellulare: impostare delle sveglie che ci ricordino di riporlo, di spegnerlo o di non usarlo mentre stiamo lavorando, studiando o allenandoci.
Perché ogni stimolo esterno che ci fa uscire dallo stato di concentrazione, soprattutto quando siamo in concentrazione profonda — lo stato mentale in cui apprendiamo meglio e più velocemente — ci costa caro.Servono dai cinque ai quindici minuti per riconcentrarsi.
Capite allora quanto siano deleteri tutti quei piccoli stimoli continui, notifiche, messaggi che arrivano dal cellulare.
Il cellulare consuma l'attenzione.
Risulta importante notare che il cellulare non ha un posto dove essere riposto, lo portiamo sempre con noi. Questo semplice fatto lo trasforma in una fonte continua di consumo dell’attenzione, che perdura per tutta la giornata.
Il cervello ha bisogno di scaricare l’attenzione, perché mentre facciamo altro riorganizza le informazioni raccolte. Se non accade, le informazioni si degradano e vanno perse. È una funzione fondamentale: il cervello comprime, deforma e seleziona cosa mantenere e cosa cancellare, cioè a cosa dare attenzione e a cosa no.
La concentrazione e i suoi limiti.
Chiamiamo concentrazione l’attenzione mantenuta per un periodo prolungato. La nostra mente riesce a gestire solo un numero limitato di informazioni alla volta: in media cinque, più o meno due. È una capacità conosciuta da tempo, che descrive quante informazioni possiamo tenere attive nella memoria di lavoro. Non è infinita. Quando la saturiamo di stimoli, l’eccesso non diventa conoscenza: si disperde e va perso.
Troppi stimoli cancellano ciò che volevamo ricordare.
La difficoltà di prestare attenzione non nasce dall’incapacità di concentrarsi, ma dalla ricezione di troppi stimoli. Questa sovrastimolazione degrada la capacità di ricordare: ciò su cui volevamo porre attenzione viene cancellato dai troppi stimoli che arrivano uno dopo l’altro.
Un esempio quotidiano.
Faccio un esempio che capita a molti: siamo in cucina, abbiamo appena buttato la pasta nell’acqua bollente e, mentre aspettiamo, guardiamo un video sul cellulare. Senza accorgercene, l’acqua inizia a traboccare dalla pentola. Non è che abbiamo disimparato a cucinare, semplicemente l’attenzione l’abbiamo data al cellulare e tolta al controllo della cottura. Gli stimoli derivanti dal video hanno saturato la nostra attenzione, e non abbiamo dato alla mente il tempo di ricordarci di gestire il fuoco sotto la pentola.
L’apprendimento nasce da stimoli esterni.
Notiamo che sia l’apprendimento sia la capacità di concentrarci nascono da
stimoli esterni, quelli che chiamiamo educazione. Un bambino, per esempio, non
sa parlare quando nasce: impara grazie agli stimoli che riceve dagli
adulti.
Tutta l’evoluzione della conoscenza umana procede da fuori verso dentro di
noi: scuola, genitori, insegnanti, esercizi, tutto contribuisce a costruirla.
Quella che chiamiamo disciplina è proprio la capacità di mantenere
l’attenzione su qualcosa, e si educa nel tempo attraverso stimoli esterni, per
anni, a volte per decenni.
La fatica della disciplina.
Essere disciplinati, all’inizio, è una fatica. Non abbiamo istinti che ci spingono alla disciplina, né una naturale propensione a mantenere l’attenzione per lungo tempo. Ci annoiamo, ci distraiamo, e la mente si lascia attrarre dai troppi stimoli — interni ed esterni — che ci distolgono dal compito.
La disciplina si allena.
È importante comprendere che la disciplina va allenata: non è una dote innata
dell’essere umano. La alleniamo attraverso stimoli esterni che ci ricordano di
mantenere l’attenzione su attività programmate.
Il diario scolastico serve proprio a questo, così come l’agenda di lavoro.
Quando gli insegnanti ci obbligavano a scuola a scrivere gli esercizi per
casa, stavano allenando la nostra futura capacità di annotare gli impegni da
adulti sull’agenda o sul calendario.
La scrittura, in particolare, rafforza la memorizzazione, perché è un gesto
esterno che ci aiuta a fissare e organizzare le informazioni.
Una spinta evolutiva di lunga durata.
È una spinta lunga, evolutiva. Ciò che ha vinto nel tempo è la trasmissione di informazioni da una generazione all’altra. Chiamiamo questo educazione. Abbiamo dato così tanto valore a questo processo da renderlo continuo, per decenni, verso le nuove generazioni. Siamo organizzati così, e questo metodo funziona meglio di qualsiasi altro che l’umanità abbia sperimentato. Questo ci fa capire che se vogliamo educarci all'attenzione all'autodisciplina risulta inefficace
L’illusione dell’autodisciplina.
Credere che la concentrazione debba partire da dentro, facendo affidamento
sull’autodisciplina, è inefficace. La nostra stessa evoluzione lo dimostra:
come specie, abbiamo scartato questa modalità per migliorare noi stessi,
scegliendo invece la crescita attraverso stimoli esterni.
Forse alcune persone molto introverse possono sembrare autodisciplinate, ma in
realtà mostrano solo un minore interesse verso gli stimoli esterni. Le persone
estroverse e curiose, invece, danno l’impressione di avere più bisogno di
un’educazione alla concentrazione, quando in realtà la loro socialità le porta
a interagire di più, ricevendo più stimoli e più occasioni educative dagli
altri.
Il consumo dell’attenzione.
Bisogna tenere presente che la sovraesposizione di informazioni, suoni, immagini, notifiche e musica consuma la capacità di rimanere concentrati. L’attenzione si affatica e, con essa, la nostra capacità di apprendere e ricordare.
Attenzione e gruppo dei pari.
Molto spesso, bambini e adulti non pongono attenzione a qualcosa finché non
vedono qualcuno del proprio gruppo di pari farla. L’interesse si accende solo
quando un membro del gruppo ha già compiuto quell’azione.
Questo significa che, quando cerchiamo di insegnare qualcosa, se chi ascolta
non si trova in un gruppo dove altri hanno già posto attenzione su quella
cosa, è difficile suscitare interesse.
L’interesse come chiave dell’apprendimento.
L’interesse è la chiave per memorizzare e apprendere: è ciò che accende
l’attenzione continua, quella che chiamiamo concentrazione.
L’attenzione continua permette la memorizzazione perché dice alla mente di
mantenere nel tempo le informazioni acquisite, e questa persistenza fa nascere
nuove capacità e abilità.
In sintesi, la catena spesso è questa: gruppo dei pari, interesse, attenzione,
memorizzazione, abilità.
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